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Breve storia del Subbuteo

Il Subbuteo data la sua nascita nel 1947 per intuizione di sir Peter Adolph da Langton Green, Tunbridge Wells, nel Kent. Quella che Adolph ha con il Subbuteo può non sembrare un’idea originale. Bensì lo sviluppo e il perfezionamento di un altro gioco da tavolo dedicato la calcio, giocato anch'esso in punta di dito e che era in circolazione già verso la fine del 1920: il “New Footy”, ideato da William (Bill) Keeling e prodotto in quel di Liverpool.

Le Origini - Quello che accomuna il NewFooty e il Subbuteo è il concetto base su cui si sviluppa il gioco stesso. A partire dagli “omini” utilizzati per giocare: nel Subbuteo come nel NewFooty le pedine non erano altro che figurine raffiguranti i giocatori inserite su basi semisferiche piatte sul fondo. Gli omini, a colpi di dito, venivano spinti sul campo con l’obiettivo di “scontrare” il pallone indirizzandolo verso la porta dell’avversario. Dal canto suo il difensore aveva a disposizione un portiere (una figurina con un’asta attaccata al retro della base) controllabile con la mano da dietro la porta e con il quale poteva tentare di salvarsi dal tiro d’attacco.

Il NewFooty - Nel NewFooty le pedine erano composte da un cartoncino laccato inserito sopra basi di piombo. Un materiale che scorreva con difficoltà a “colpi di dito”, tanto che abitualmente esse venivano spostate lungo il campo in quanto i tiri a colpi di dito risultavano piuttosto corti. Inoltre, vigeva la regola che le figurine (tutte diverse l’una dall’altra) potevano essere utilizzate esclusivamente nelle rispettive posizioni. In altre parole, l’ala sinistra poteva correre solo sul lato sinistro del campo e non poteva essere utilizzata come centrocampista.

Gli albori - Creando il suo Subbuteo, Peter Adolph via via usò uno dei materiali più innovativi all’epoca esistenti: la plastica. Inizialmente, però, le pedine erano composte da figure in cartone inserite in basi di plastica, molto più scorrevoli sul campo di gioco. I principi base del Subbuteo sono assolutamente differenti rispetto ad altri giochi da tavolo dedicati al calcio.

Il nome – Per problemi di carattere commerciale Adolph non potè utilizzare il nome ideato di “The Hobby”. Mutuò per la definizione latina del falco lodaiolo di un uccello abituale nelle campagne inglesi: per l’appunto il Falco Subbuteo. Il motivo? La capacità del volatile di colpire l’obiettivo in modo preciso e veloce. Un modo arguto per delineare le caratteristiche pratiche del gioco che si apprestava a sviluppare. La testa del Subbuteo (falco) apparve così nel simbolo del gioco negli anni ’70.

La struttura – Le prime confezioni di Subbuteo erano veramente semplici. Venivano vendute esclusivamente per posta. La confezione era in cartone rosso (delle dimensioni non più grandi delle prime scatole che negli anni ’70 contenevano una sola squadra) che conteneva due fogli di cartoncino laccato dove erano stampati i giocatori che dovevano essere tagliati (in seguito, tra il 1949 e il 1950 uscirono delle versioni con figurine dal bordo “pretagliato”), 20 piccole basi in plastica su cui inserire le figurine dei calciatori, due basi rettangolari marroni per i portieri con un asta in metallo per il loro controllo e una palla di plastica. Le porte erano da assemblare con del filo in metallo finite con una “rete” fatta in cartoncino (marrone all’interno, verde e nera all’esterno). Incluse c’erano le regole del gioco, il modulo d’ordine per gli accessori e un pezzo di gesso. In queste confezioni non c’era il campo. Il gesso serviva per tracciare il campo su di una vecchia coperta militare in lana: un oggetto che abbondava nelle case inglesi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una curiosità: inizialmente l’area di tiro (nella versione moderna un rettangolo) era in realtà semicircolare.

Le regole base - Ogni giocatore controllava i calciatori della propria squadra muovendoli a colpi di dito con la tecnica dello sfregamento dell’unghia sul campo. Il giocatore in attacco doveva toccare il pallone tirando uno dei suoi calciatori. Il possesso di palla era mantenuto ogni qual volta il giocatore toccava il pallone con un suo calciatore, la palla “toccata” non usciva dal campo o, per ultimo, non andava a toccare un giocatore avversario. L’attaccante poteva controllare il pallone con uno stesso giocatore per non più di tre volte di fila. Dopo il terzo colpo consecutivo con uno stesso calciatore, l’attaccante doveva utilizzare un altro giocatore. Nel contempo il difensore non stava a guardare, ma interagiva costantemente con il gioco in quanto, ogni qual volta l’attaccante effettuava un tiro, il difensore aveva a disposizione un tiro di difesa: ovvero sempre a colpo di dito, poteva spostare una sua pedina o per riposizionare la propria difesa o per rendere difficile il controllo di palla dell’attaccante. In ogni caso, tirando i propri calciatori, il difensore non poteva né toccare il pallone né scontrare una pedina avversaria. Nel qual caso scattava il fallo. Il tiro in porta,come detto, poteva esser scoccato esclusivamente dall’attaccante quando il pallone era all’interno dell’area di tiro dell’avversario.

I primi sviluppi – Negli anni ’50 il Subbuteo “migliora” i suoi accessori, porte, bandierine, campo ufficiale. Poi arrivano l’arbitro, le staccionate per evitare che il pallone cadesse dal tavolo, una campana contasecondi. Crescono anche le squadre a disposizione: dalle 24 del periodo 1949-50 alle 30 di inizio anni ’60.

Giocatori 3D: gli Heavyweight - Il maggiore cambiamento dalla sua ideazione, il Subbuteo lo registra nel 1960 con la creazione dei calciatori in plastica (in tre dimensioni e in scala 00) collocati sulle basi semisferiche a fondo piatto in plastica ma con l’aggiunta, nell’incavo della base, di una rondella in metallo per garantire maggiore stabilità al giocatore. I primi giocatori erano inseriti nella base semisferica con una barretta in plastica trasversale. Questi giocatori sono comunemente conosciuti come il modello heavyweight. Tutti i giocatori erano dipinti e assemblati a mano. Dal punto di vista aziendale, nel 1968 la Weddinghtons acquista il brevetto del Subbuteo da Adolph e, di fatto, punta ad industrializzare la produzione del gioco. Nel periodo 1971-72 la lista delle squadre disponibili toccava le 81 unità: nel 1973-74 le 165 squadre. Nel 1978 si erano raggiunte le 322 squadre.

L’era Zombie – Nel 1977 la Subbuteo Sports Games Ltd automatizza le sue produzioni. Proprio perché i giocatori dovevano essere assemblati e dipinti da macchine i primi esemplari vennero, per così dire, stilizzati. E nacquero così quelli che sono conosciuti come gli Zombie: giocatori rigidi, all’apparenza senza vita. In questa prima fase, spesso i giocatori si trovano sia nella versione dipinta a mano sia nella versione dipinta automaticamente. I primi esemplari addirittura erano inseriti direttamente nel top delle basi che non riportavano nemmeno la dicitura Subbuteo. Per i più l’introduzione di questi giocatori per via dell’automazione delle produzioni venne letta come un passo indietro nella qualità del gioco.

Tornano gli umani: i Lightweight – Nel 1981 vengono “eliminate” alcune delle squadre non più aggiornate: il parco squadre si attesta così intorno alle 300 unità. La novità principale del periodo, però è il ritorno del giocatore dalla forma umana. In pratica un mix tra le due realtà precedenti: gli heavyweight e gli zombie. Produzione automatica alla zombie ma con pose e dettagli stile heavyweight. Testate sul mercato nel 1980 entrano in catalogo l’anno successivo.

Il declino (industriale) del mito inglese – Con l’avvento dell’automazione, dal punto di vista societario la Subbuteo decide di trasferire le proprie attività dal Kent a Castle Gate, Outen, Leeds. Era il 1982 e sulle scatole il nome cambiò da Subbuteo Sports Games Ltd. A Subbuteo Sports Games, A Waddingtons Games Ltd company”. Fu il punto più alto dell’avventura inglese. Tra il 1983 e il 1987 ci fu una razionalizzazione sia in termine di prodotti realizzati dalla Subbuteo (sparirono le versioni dei giochi relativi a rugby, cricket e hockey che nei precedenti anni erano comparse) sia in termine di figurini accessori (sempre più spesso unite in pack comprendenti più elementi) sia di linee di squadre realizzate. Le squadre dalle 298 del 1986 scesero a 169 nel successivo 1987. Agli inizi degli anni ’90 la strategia fu quella di acquisire licenze per produrre accessori marchiati come nel calcio “moderno”: i primi esemplari furono i palloni e i campi e il primo evento “marcato” furono i Mondiali di Italia 90. Partì anche la linea marcata con il logo della Premiership. Nello stesso periodo le squadre inglesi cominciarono ad essere dotate di tre giocatori “di colore”, nel rispetto delle minoranze della nazione.

Arrivano gli americani – Alla metà degli anni ’90 gli americani della Hasbro acquisirono la Waddingtons. Si aprì una nuova fase di declino. Via via furono tagliate le linee di accessori e, successivamente, le squadre che prima scesero a quota 46 e poi alle sole realtà della Premiership più Inghilterra e Scozia. La novità principale introdotta dalla Hasbro fu la confezione (i giocatori erano 12 e non più 10, in pratica con due riserve in caso di rottura dei giocatori) e le basi, leggermente diverse (interessanti dal punti di vista sportivo, secondo alcuni giocatori) fatte in ogni caso in un unico pezzo e di un unico colore.

Subbuteo, l’anima italiana – Negli anni ’70 l’azienda genovese Elidio Parodi aveva stretto con la Weddingthons un accordo per la distribuzione in Italia del Subbuteo. Un passaggio importante, questo, nella storia del fenomeno italico del Subbuteo, non solo perché Parodi contribuì a diffondere il mito del Subbuteo in Italia, ma perché, grazie alle licenze ottenute, Parodi sviluppò una sua produzione personalizzata di squadre italiane e nazionali contribuendo ad incrementare l’offerta del numero di squadre. Il duro colpo, per Parodi, giunse nel 1997: già sotto gestione Hasbro, a Parodi viene ritirata la licenza Subbuteo. L’esperienza maturata negli anni precedenti e la consapevolezza della bontà del prodotto, spinse la Parodi a lanciare una propria linea di calcio da tavolo sulla falsariga del mito Subbuteo: la linea Zeugo (in dialetto genovese “gioco”).

La fine del Subbuteo – Sul fronte internazionale, e visto il crescente successo che i videogame andavano via via riscuotendo, nel 2000 la Hasbro diede l’annuncio choc: il Subbuteo terminava la sua storica esistenza. Un movimento di opinione in Inghilterra spinse Hasbro a ripensare la sua decisione alla fine dello stesso anno riprendendo la produzione con set e accessori limitati all’osso. Nel 2002 Parodi ed Hasbro si accordarono per una nuova licenza produttiva che però ebbe vita beve. Alla fine del 2003, nuovamente, la licenza all’azienda genovese venne ritirata.

Ritorno al passato – Alla fine del 2004 nuovo colpo di cena. Hasbro ripensa nuovamente alla sua decisione. Riesuma il Subbuteo ideando una nuova linea che… appare ricalcare la prima linea produttiva del vecchio Adolph: giocatori in cartoncino plasticato (ma con le fotografie stilizzate dei veri campioni di calcio in circolazione al momento) collocate su basi semisferiche in plastica.

NOTA - Questo è un piccolo compendio su cosa è stato il Subbuteo. La storia reale si è sviluppata molti anni fa e, nonostante tutte le attenzioni del caso nel reperire le informazioni, potrebbe essere che in alcune delle loro  parti le informazioni riportate siano incomplete e/o errate. Ogni suggerimento per migliorare e correggere questa storia è gradito ancorché auspicato. I marchi qui riportati appartengono ai legittimi proprietari. Il materiale iconografico o proviene da oggetti di mia proprietà o è stato reperito liberamente da Internet.